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THE HIS HAND IN MINE SESSIONS della FTD

A CURA DI: Giuseppe Castiglia

Dopo aver pubblicato le sessioni per l’album “Something for Everybody”, la “FTD” va a ritroso e ci offre le sedute di registrazione complete per il primo album Gospel di Elvis: “His hand in Mine”.
Il box contenente 3 CD, si apre a tre ante che riproducono le scatole che contenevano i nastri delle sessions. Qui troviamo anche l`immancabile libretto di 28 pagine con i dettagli tecnici ed un enorme quantità di materiale pubblicitario e comunicazioni della RCA relative all`album. Non mancano le copertine delle varie edizioni pubblicate negli USA e in altri paesi, dell`album, così come i singoli estratti da esso.

Passiamo alla sessione.
Nel primo pomeriggio del 30 ottobre 1960, Elvis, Scotty Moore, DJ Fontana e Boots Randolph arrivano in bus da Memphis, nello “Studio B” della RCA a Nashville e mentre i musicisti si organizzano in studio, Elvis e Freddy Bienstock, si ritirano in una stanza a discutere delle canzoni da incidere (Bienstock si occupava di procurarsi i diritti di edizione dei brani). Essendo un appassionato del genere, Elvis non ebbe bisogno di nuovi brani ma attinse dalla sua conoscenza e passione per questa musica che conosceva tanto bene sin da bambino. Molte furono le canzoni selezionate e non usate e tra queste c’erano anche “You’ll Never Walk Alone” e “Only Believe” che verranno incise in futuro.

Si decide di cominciare con un brano ben conosciuto da tutti: “Milky White Way”. Era uno standard che i “Jordanaires” avevano già inciso con Red Foley addirittura 10 anni prima. Le prime due takes si interrompono immediatamente per perfezionare il tempo. La terza è completa e sia Elvis che il resto del gruppo sono già padroni del brano. C’è qualche incertezza sul coro e la quarta take si interrompe proprio per questo ed ascoltiamo il soprano Millie Kirkham chiedere dei chiarimenti. La quinta viene completata e devo segnalare l’eccellente lavoro di Bob Moore al basso. Ancora un paio di false partenze e poi giungiamo al master, perfetto nella sua semplice struttura musicale, ma cantato con grande espressività.

“His Hand in Mine” faceva parte del repertorio degli “Statesmen”, uno dei quartetti che più si ascoltavano in famiglia Presley. La prima take viene portata al termine brillantemente con Elvis che passa da tenore a baritono con una disinvoltura unica. Charlie Hodge duetta in modo impeccabile (i due non canteranno mai più cosi bene insieme, a mio parere) su un brano che avevano provato tanto in Germania. Dopo delle false partenze, le takes 4 e 5 vengono unite per creare il master. Da segnalare il cambio di tono su “I will never walk alone…”, ma ascoltate bene l’impeccabile “’Til the day He tells me why…” e troverete la melodia di “My Happiness”… I corsi e ricorsi…
Rimaniamo ancora con il repertorio degli “Statesman” per il prossimo brano: “I Believe in the Man in the Sky”. La prima take, dopo una breve falsa partenza, è presa a ritmo molto sostenuto, i “Jordanaires” cantano l’intro mentre Elvis, già padrone della melodia, sperimenta il suo approccio. Seguono due takes interrotte la prima per un errore del coro e la seconda per un problema tecnico in regia. La quarta trova tutto il gruppo in sintonia ed un Elvis in gran forma che fa contrappunto ai “Jordanaires” con “sparrow am I” e il sax di Boots Randolph che non invade ma dà una spinta in più al ritmo: non può essere che il master.

Rimanendo ancora con gli “Statesmen”, si passa a “He Knows just what I Need”. È interessante notare che questi ultimi due brani furono pubblicati dal gruppo Gospel su un 78 giri che vendevano solo ai loro concerti; è quindi probabile che Elvis conoscesse le canzoni grazie a questo singolo acquistato ad uno degli spettacoli all’Ellis Auditorium che attendeva frequentemente. La prima take è completa ed eseguita più che sufficientemente da tutti. Charlie Hodge fa da tenore in questo primo arrangiamento e sembra ci sia poco da migliorare. L’eccezionale Floyd Cramer al pianoforte, porta il tempo con un preciso staccato, mentre Hank Garland alla chitarra acustica in questo brano, tiene cadenza con tempo impeccabile. La prove continuano con false partenze e interruzioni varie. La sesta viene interrotta dalla regia per il solito pop sulla lettera “p” a cui Elvis era soggetto sin dai giorni della “Sun”. Nella take numero 7 la voce di Charlie Hodge comincia a perdere colpi e dopo un altro paio di tentativi, si decide di sostituirlo con Millie Kirkham. La decima take viene completata con il piccolo cambio di arrangiamento e selezionata come master.

Si passa ora ad incidere il prossimo singolo. Dopo l’enorme successo di “It’s Now or Never”, si decide di creare un nuovo testo per un altra classica melodia napoletana: “Torna a Surriento”, reintitolata “Surrender”. Dalla primissima take, si vede quanto Elvis fosse ben padrone della melodia che conosceva nella versione di Mario Lanza e presente nella sua collezione di dischi a Graceland. In questa prima prova, Elvis sembra quasi trattenersi vocalmente e nel finale non va su con la voce. La take 2, come la prima, è affrontata ad un tempo più veloce del master che impedisce ad Elvis di sfoggiare di più la sua voce. Si decide quindi di rallentare il tempo ad un andante beguine ed il brano migliora immediatamente. La quarta (inedita in parte fino ad oggi) è quasi perfetta e verrà usata per il master. Secondo ciò che racconta Ray Walker dei “Jordanaires”, a questo punto, Elvis gli confidò che aveva difficoltà a raggiungere la nota alta nel finale (un “Si Bemolle” che non aveva mai inciso) e il veterano cantante gli spiega un vecchio trucco che consiste nello sforzare il diaframma come se si avessero conati di vomito. Comunque siano andate le cose, la sesta take, che è un vero capolavoro, finisce con Elvis che prende quel benedetto “Si Bemolle” senza grandi difficoltà.
Nella take seguente però, la voce si rompe proprio mentre cerca di raggiungere la nota finale di “to-night!”. Si decide quindi, di lavorare sul crescendo finale separatamente con “work parts”. Una volta perfezionato il finale (work part take 8), i tecnici lo uniscono alla quarta prova per creare il master e, a mio parere, la più completa performance vocale in studio della sua carriera.

Si passa ora al repertorio dei “Blackwood Brothers” con “Mansion over the Hilltop”, un tipico Gospel swing in cui ancora una volta Elvis dimostra un eccellente controllo del suo vibrato che nell’occasione, diventa quasi angelico. Basta una sola take completa, la terza, per soddisfare tutti e passare alla prossima.

“In my Father’s House” ha tutti gli elementi che piacevano ad Elvis in una canzone Gospel: testo di speranza, fusione delle voci ed un assolo del basso. L’attacco dà non pochi problemi e il risultato sono un enorme numero di false partenze. L’ottava viene completata con l’aggiunta di una breve “work part” (inedita fino ad ora) e selezionata come master.
Durante il suo soggiorno in Germania, Charlie Hodge regalò ad Elvis un disco dei “Golden Gate Quartet” e durante un congedo a Parigi, ebbero anche modo di ascoltarli in concerto (la leggenda vuole che Elvis ed il quartetto cantarono insieme per ore dopo la fine dello spettacolo ed un acetato che conteneva parte di quella jam, è andato distrutto).

“Joshua Fit the Battle” è un classico Spiritual che i “Golden Gate” avevano inciso con Louis Armstrong. La prima take è completata ed Elvis sembra già padronissimo del complicato testo e dei salti di tono. La band accellera un po’ il tempo sul ritornello e c’é’ un errore sul finale ma si vede che manca poco per renderla perfetta. Solo pochi tentativi e si giunge al master eseguito magnificamente da tutti.

“Swing Down Swing Chariot” è anch’esso un cavallo di battaglia dei “Golden Gate” ed Elvis deve esserci stato particolarmente affezionato, in quanto lo propose pochi mesi più tardi allo show di beneficenza alle Hawaii e rencincise nel 1968 per il film “The Trouble with Girls”.
Nelle prime takes, Ray Walker è particolarmente alto nel mix. Dopo un ribilanciamento, la terza take viene completata bene ma l’attaco su “Now I’ve got a father in the promised land…” manca di un po’ di grinta che mette nella take seguente scelta come master.

È ora la volta di rispolverare un vecchio successo dei “Jordanaires” risalente al 1949: “I’m Gonna Walk Dem Golden Stairs”. Interessante l’arrangiamento in cui il tempo aumenta di strofa in strofa.
La prima take trova tutti in sintonia. Elvis canta le strofe ma è contento di rimanere nello sfondo vocalmente, durante il ritornello. Deve essere stato un momento di grando orgoglio poter cantare la musica che amava con professionisti che aveva ammirato da ragazzino.
Si prova un arrangiamento con tempo più lento ma il risultato non è soddisfacente ed alla fine ci si rende conto che la prima take è perfetta così com’è e viene marcata “master”.

Sono le 5 del mattino e si attacca “If We Never Meet Again”, un breve Gospel che Elvis affronta ancora una volta con il suo alto registro fino a cantare le note più alte in falsetto. È sorprendente ascoltare certe performances vocali da uno che non aveva mai preso una lezione di canto.
La prima take è di una dolcezza e purezza unica che è inutile tentare di migliorarla.

“Known Only To Him” è un classico dei quartetti Gospel e presente in entrambi i repertori degli “Statements” e “Blackwood Brothers”. Questo Gospel Waltz mette alla prova ancora una volta il controllo del falsetto nel “bridge” che Elvis dimostra di avere dalla prima take completata (take 2). La voce si innalza con “I don’t know what the future holds…” ma è sussurata in un modo che trasmette sincerità e tranquillità sul futuro.
Poche false partenze e con la take 5 portata al termine, arriva anche il master.

“Crying in the Chapel” era stata portata in classifica originalmente da Darrell Glenn (figlio dell’autore), ma è la versione degli “Orioles”, pubblicata l’anno in cui si diplomò a Humes, che è quella alla quale Elvis si è probabilmente ispirato. La prima take si interrompe per un incomprensione tra Elvis e i “Jordanaires” e, dopo una falsa partenza, si giunge alla take numero 3. La voce calda parte da sola e sale fino a unirsi al coro su “…chapel” ma riscende su “grow stronger” a dimostrare la forza anche nella voce. Il botta e risposta con i “Jordanaires” nel “bridge” è anch’esso di una espressività unica e l’arrangiamento semplice di piano e chitarra acustica, complimentano perfettamente l’immagine di pace nel luogo sacro del brano.
Questa take e’ marcata “No Master”, segno che Elvis decise che non era buona abbastanza (forse aveva in mente di rifarla in un secondo momento).

Accantonata “Crying in the Chapel”, manca ancora un brano per completare l’album, così i “Jordanaires” suggeriscono uno standard che faceva parte del loro repertorio live: “Working on the Building”. La prima take viene portata a termine ma Elvis sbaglia alla fine e commenta: “Ricominciamo subito, mi sono confuso nel finale”.
Un altro paio di tentativi, e anche questo brano viene completato per il master. Notiamo che Elvis fa quasi da co-protagonista e lascia i “Jordanaires” brillare, probabilmente anche rilassato che la lunga maratona sta svolgendo a termine.


In conclusione, le performances di queste sessioni, trovano un Elvis ispirato dalla musica che ama da sempre e in grandissima voce. L’audio è perfetto con una buona separazione dei canali stereo e senz’altro superiore a precedenti emissioni pirata.
Questo box ci offre per la prima volta tutto ciò che fu messo su nastro quella notte nell’ordine in cui fu inciso. C’è però da notare che per chi ha la versione “classic albums” della FTD edita nel 2006, questo box pubblica ben poco di nuovo (meno di 10 minuti).
Alla fine dell’ascolto, non ho potuto fare a meno di chiedermi: ma quanti artisti esistono i cui “scarti” nascondono tante gemme ?